Pitture di ILARIO ROSSI, Edizioni Alfa, Bologna, 1968
Carlo M. De Paola
Gli elaborati di Ilario Rossi, compresi quelli recentissimi cui si rivolge in particolare la mia attenzione, non propongono ardue alternative di lettura né mi pare presentino difficoltà esegetiche di rilievo. Un linguaggio articolato e pluridimensionale vi è assunto ad esplicitare una interiorità ricca di fermenti e riesce a comporvi una vasta condizione di vita con esiti fruibili anche dall'amatore appena sensibilizzato alle cose d'arte. Il medium espressivo non tradisce la nobiltà del dizionario classico. Alla corposa sostanza delle immagini fa riscontro la vibrata e guizzante duttilità del segno, alla forza espressiva del colore la sottile eleganza di personalissime modulazioni tonali, alla mordente immediatezza percettiva il decantato stupore della trasfigurazione lirica.
Il curriculum di Rossi, pittore della generazione di mezzo, in alterna vicenda testimone interessato ovvero artista direttamente coinvolto nel travaglio contemporaneo delle arti, è tutto qui, nell'antologica idealmente ordinata nel presente volume e nei regesti critici di estimatori che ne riconobbero il talento e ne seguirono l'avventura. Oggi una ennesima presentazione, un'ulteriore biografia per dati esterni, rischierebbe di apparire insignificante e tautologica. Per questo ho preferito indugiare sul senso meno appariscente delle sue scelte, sulla dialettica delle sue interne tensioni, sul suo modo di disporsi e di essere presente alla vita e all'arte.
Come tutti gli artisti della sua generazione, Rossi è vissuto in tempi di ingrate mutilazioni, le più gravi che la storia del pensiero abbia mai registrato. La teoria della relatività ha messo in crisi la certezza paradigmatica delle strutture spazio-temporali; il principio di indeterminazione ha invalidato ogni serio tentativo di approccio gnoseologico; l'una e l'altro, configurando un universo di pure energie in movimento, hanno deteriorato l'ordine delle cose e scardinato in profondità le basi del nostro sapere. E se è vero, come da più parti si afferma, che certe mutilazioni, riducendo il nostro fardello, ci fanno più mobili e attivi, è del pari innegabile che la rinunzia al conoscere per essenze legittima la libertà codarda degli irregolari, dei mitomani, degli impostori, degli anarcoidi velleitari. Mai come in passato il mondo delle arti visive pullula di pseudo personaggi la cui pleonastica presenza è resa possibile solo dalla generale alienazione dai codici di una cultura in crisi e dall'assenza di un'avanguardia responsabile che rifiuti lo sterile gioco dell'eversione preconcetta e si voti a doppiare la realtà emergente di una rete organica di parole e di gesti nuovi.
È alla luce di questa caotica eppure stimolante temperie spirituale che la figura di Ilario Rossi acquista una sua inconfondibile fisionomia e si compone in una coerente stratificazione di sensi. Si è più volte osservato che Rossi ha saputo far tesoro della lezione di Morandi; e individuando quella lezione con un'aurea crestomazia di precetti tecnici ovvero confondendola con una sorta di normatività tematica o di sintassi espressiva a livello europeo, si è valutata l'opera dell'allievo sulla base delle sue consonanze e delle sue culminazioni creative rispetto a quella del maestro. Con ciò si sono tradite le intenzioni dell'una e dell'altra. Prima che artista di raffinata sensibilità, Morandi fu maestro nell'accezione più profonda e nobile del termine, e la sua fu una lezione di coerenza, di chiarezza, di disciplina, di fede assoluta nella missione ordinatrice dell'uomo. Una lezione che il poeta di Grizzana seppe trarre dagli autentici rivoluzionari di tutti i tempi, da Piero della Francesca a Cézanne, e che incarnò lungo tutto l'arco della non breve attività figurativa.
A questo esemplare modello di costume e di vita vanno ricondotte la personalità e l'opera di Ilario Rossi.
Svincolatosi per gradi dagli irrigidimenti dogmatici di una logora precettistica figurale, Rossi si apre ad un proficuo contatto con le esperienze e gli esiti delle scritture postimpressioniste e rivela una nativa, prevalente vocazione per la pittura di paesaggio. Un lucido gioco di protensioni e ritensioni lo investe della fervida tematica del naturalismo astratto e dalla originaria fedeltà agli schemi della percezione lo spinge fino alle soglie della proposta informale. Ma il rapporto ormai solidamente instaurato con la partitura di ispirazione tradizionale - nel suo plenum triadico di paesaggio, figura e natura morta - non gli consente di varcare quelle soglie. Al momento focale di un iter artistico che potrebbe volgere con prospettive di successo alla cattivante avventura della sperimentazione non figurale, Rossi non esita a scegliere l'alternativa meno gradita ai centri di potere del mercato e della critica e si colloca decisamente nella schiera degli eredi e dei rinnovatori della tradizione figurativa occidentale.
Oggi si presenta nella condizione precaria del personaggio isolato che non si attesta nella roccaforte di una tendenza né si riconosce nelle istanze pluralistiche di un ethos scopertamente rivolto a " plagiare " l'individuo ed a farne docile strumento di fruizioni economiche collettive. Ed il suo fare artistico, ricercando di sé motivazioni del tutto singolari e private, si dispiega e trova posto tra la dimensione della realtà per intero coperta da cifre e quella della conoscenza speculare e riflessa, in una ideale zona mediana svincolata così dagli abiti linguistici, percettivi e pragmatici, come da ogni integrazione teoretica e da ogni generalizzante assunzione categoriale. La zona del ritmo interiore, del tempo vissuto, del " mondo della vita ", laddove l'intervento ordinatore dell'artista costringe in forme limpide ed oggettive il confuso ed amorfo apeiron degli stati d'animo e delle apparenze sensibili.
In questi termini che sono di conservazione e di progresso, di tradizione e scoperta, di disciplina e libertà creativa, Rossi concreta il senso della sua partecipazione al dibattito dell'arte contemporanea.
Carlo M. De Paola
Gli elaborati di Ilario Rossi, compresi quelli recentissimi cui si rivolge in particolare la mia attenzione, non propongono ardue alternative di lettura né mi pare presentino difficoltà esegetiche di rilievo. Un linguaggio articolato e pluridimensionale vi è assunto ad esplicitare una interiorità ricca di fermenti e riesce a comporvi una vasta condizione di vita con esiti fruibili anche dall'amatore appena sensibilizzato alle cose d'arte. Il medium espressivo non tradisce la nobiltà del dizionario classico. Alla corposa sostanza delle immagini fa riscontro la vibrata e guizzante duttilità del segno, alla forza espressiva del colore la sottile eleganza di personalissime modulazioni tonali, alla mordente immediatezza percettiva il decantato stupore della trasfigurazione lirica.
Il curriculum di Rossi, pittore della generazione di mezzo, in alterna vicenda testimone interessato ovvero artista direttamente coinvolto nel travaglio contemporaneo delle arti, è tutto qui, nell'antologica idealmente ordinata nel presente volume e nei regesti critici di estimatori che ne riconobbero il talento e ne seguirono l'avventura. Oggi una ennesima presentazione, un'ulteriore biografia per dati esterni, rischierebbe di apparire insignificante e tautologica. Per questo ho preferito indugiare sul senso meno appariscente delle sue scelte, sulla dialettica delle sue interne tensioni, sul suo modo di disporsi e di essere presente alla vita e all'arte.
Come tutti gli artisti della sua generazione, Rossi è vissuto in tempi di ingrate mutilazioni, le più gravi che la storia del pensiero abbia mai registrato. La teoria della relatività ha messo in crisi la certezza paradigmatica delle strutture spazio-temporali; il principio di indeterminazione ha invalidato ogni serio tentativo di approccio gnoseologico; l'una e l'altro, configurando un universo di pure energie in movimento, hanno deteriorato l'ordine delle cose e scardinato in profondità le basi del nostro sapere. E se è vero, come da più parti si afferma, che certe mutilazioni, riducendo il nostro fardello, ci fanno più mobili e attivi, è del pari innegabile che la rinunzia al conoscere per essenze legittima la libertà codarda degli irregolari, dei mitomani, degli impostori, degli anarcoidi velleitari. Mai come in passato il mondo delle arti visive pullula di pseudo personaggi la cui pleonastica presenza è resa possibile solo dalla generale alienazione dai codici di una cultura in crisi e dall'assenza di un'avanguardia responsabile che rifiuti lo sterile gioco dell'eversione preconcetta e si voti a doppiare la realtà emergente di una rete organica di parole e di gesti nuovi.
È alla luce di questa caotica eppure stimolante temperie spirituale che la figura di Ilario Rossi acquista una sua inconfondibile fisionomia e si compone in una coerente stratificazione di sensi. Si è più volte osservato che Rossi ha saputo far tesoro della lezione di Morandi; e individuando quella lezione con un'aurea crestomazia di precetti tecnici ovvero confondendola con una sorta di normatività tematica o di sintassi espressiva a livello europeo, si è valutata l'opera dell'allievo sulla base delle sue consonanze e delle sue culminazioni creative rispetto a quella del maestro. Con ciò si sono tradite le intenzioni dell'una e dell'altra. Prima che artista di raffinata sensibilità, Morandi fu maestro nell'accezione più profonda e nobile del termine, e la sua fu una lezione di coerenza, di chiarezza, di disciplina, di fede assoluta nella missione ordinatrice dell'uomo. Una lezione che il poeta di Grizzana seppe trarre dagli autentici rivoluzionari di tutti i tempi, da Piero della Francesca a Cézanne, e che incarnò lungo tutto l'arco della non breve attività figurativa.
A questo esemplare modello di costume e di vita vanno ricondotte la personalità e l'opera di Ilario Rossi.
Svincolatosi per gradi dagli irrigidimenti dogmatici di una logora precettistica figurale, Rossi si apre ad un proficuo contatto con le esperienze e gli esiti delle scritture postimpressioniste e rivela una nativa, prevalente vocazione per la pittura di paesaggio. Un lucido gioco di protensioni e ritensioni lo investe della fervida tematica del naturalismo astratto e dalla originaria fedeltà agli schemi della percezione lo spinge fino alle soglie della proposta informale. Ma il rapporto ormai solidamente instaurato con la partitura di ispirazione tradizionale - nel suo plenum triadico di paesaggio, figura e natura morta - non gli consente di varcare quelle soglie. Al momento focale di un iter artistico che potrebbe volgere con prospettive di successo alla cattivante avventura della sperimentazione non figurale, Rossi non esita a scegliere l'alternativa meno gradita ai centri di potere del mercato e della critica e si colloca decisamente nella schiera degli eredi e dei rinnovatori della tradizione figurativa occidentale.
Oggi si presenta nella condizione precaria del personaggio isolato che non si attesta nella roccaforte di una tendenza né si riconosce nelle istanze pluralistiche di un ethos scopertamente rivolto a " plagiare " l'individuo ed a farne docile strumento di fruizioni economiche collettive. Ed il suo fare artistico, ricercando di sé motivazioni del tutto singolari e private, si dispiega e trova posto tra la dimensione della realtà per intero coperta da cifre e quella della conoscenza speculare e riflessa, in una ideale zona mediana svincolata così dagli abiti linguistici, percettivi e pragmatici, come da ogni integrazione teoretica e da ogni generalizzante assunzione categoriale. La zona del ritmo interiore, del tempo vissuto, del " mondo della vita ", laddove l'intervento ordinatore dell'artista costringe in forme limpide ed oggettive il confuso ed amorfo apeiron degli stati d'animo e delle apparenze sensibili.
In questi termini che sono di conservazione e di progresso, di tradizione e scoperta, di disciplina e libertà creativa, Rossi concreta il senso della sua partecipazione al dibattito dell'arte contemporanea.