Ricordo di FERDINANDO ROSSI, ATTI E MEMORIE della Accademia Clementina di Bologna, VII, 1960
Non manca, forse, chi può giudicare eccessiva l'indulgenza con cui l'Accademia Clementina ha talora accolto nel suo seno artisti non sempre provveduti di un copioso dossier di referenze: artisti, vogliamo dire, che un ristrettissimo concetto di chiara fama potrebbe mettere in difficoltà per penuria di credenziali critiche e di pubblici avalli da esibire a garanzia del loro talento. Sia concesso, a discarico, il beneficio di non frequenti, ma, oseremmo dire, necessarie eccezioni, confortate, nella fattispecie, da un giudizio collettivo che si deve credere consapevolmente motivato sia in fase di proposta che di ratifica. E non mette conto di aggiungere che la scala dei valori non risulta compromessa da un criterio di valutazione utile, quanto meno, al disgelo di un'intransigenza sempre opinabile nelle sue programmatiche inibizioni.
Quando il giudizio critico elude sotto la pressione teorica ogni necessario termine di confronto, la presenza di attitudini individuali non sempre reperibili a prima vista, né sempre e solo ricavabili dalle cartelle segnaletiche della pubblicità, appare come un prudente richiamo a più modeste costanti. E gli attributi di un'attività minore, in cui si risolvono con dignità e chiarezza le certezze fornite dagli onesti impegni del mestiere, costituiscono una misura-limite valida in contropartita.
Premesso che un'accademia non è un organo selezionatore del genio, né un centro di raccolta di immortali, ma un ente culturale che riunisce e convoglia a fini ben determinati energie diverse per qualità, grado e natura, equamente valutandone le sfumature e gli aspetti senza preclusione teoriche o limitazioni prefissate, anche l'attività artigianale ha buon titolo al suo avvallo quando la serietà dell'assunto lo comporti. E s'intende che se diversa è la misura dell'apporto, diverse sono le discriminazioni estetiche del giudizio. Ora, fu proprio per un criterio di valutazione non condizionato dalla contabilità tabellare del talento artistico a corso pregiato che la proposta di nomina del Prof. Ferdinando Rossi ad accademico corrispondente per la classe degli scultori trovò nel più concorde consenso il suo giusto significato: un doveroso tributo di stima ad un artigiano fra i più qualificati per probità, capacità onesta fede nell'esercizio dell'arte da lui esercitata nei limiti di un misuratissimo e non mai travalicato ambito professionale. Se mai rilievo può essere mosso a tale designazione, è di essere stata fatta troppo tardi. Anche se tacitamente implicito nella stima che circondò per tanti anni la sua nobile figura e la sua opera, il pubblico riconoscimento dei suoi meriti gli veniva reso solo "in estremis", quando ormai piegato dall'età e sotto l'incalzare del male, egli si avviava rassegnatamente al suo transito umano. E il silenzio di questa sua scomparsa, in cui parve riassumersi tutto il pudore della sua appartata operosità, non amammo turbare con discorsi commemorativi. Ci sembrò più conforme all'onesta misura della sua vita, affidare ai limiti modesti di una pagina affettuosa il ricordo che serbavamo di lui. La sua biografia, per altro, non chiede di essere esposta in termini di testimonianza storica. La chiara linearità della sua esistenza non invita a illazioni postume o a scoperte edificanti: si configura in poche notizie, scarne, semplicissime, su cui non pesano assunti universali né gravano le responsabilità del divenire estetico; testimonianza ultima di una vita esemplare, aliena da tentazioni d'orgoglio e da ambizioni inconfessate.
Ferdinando Rossi nacque a Bologna il 30 marzo 1885. Compì gli studi artistici presso l'Accademia di Bologna, dove frequentò il corso di scultura sotto la guida di Enrico Barbieri. Superato brillantemente il suo alunnato scolastico, tracciò con esemplare modestia i limiti della propria sfera d'azione: aprì una "bottega artigiana", dove si praticava l'intaglio, la decorazione pittorica e a stucco; dove all'esercitazione professionale si affiancava un adeguato studio teorico in ordine alle esigenze dell'arte applicata cui la "scuola-bottega" indirizzava la propria azione; dove lo studio degli stili non si contraeva nelle strettoie del settore specifica da cui prendeva origine, ma si articolava fra nozioni teoriche e acquisizioni tecniche fino a inserirsi - ove la maturità dell'allievo lo consigliasse - in più vasti lineamenti storici. Lavoro, insomma, che non eludeva lo studio: pratica di mestiere che non escudela gli impegni della cultura, ma vi si introduceva gradualmente.
Moltissimi gli artigiani che, nel giro di mezzo secolo, furono alla sua bottega; apprendisti sul piano professionale e insieme allievi su quello didattico, le cui attitudini egli sempre educò con cuore paterno e coscienza di antico maestro, lieto di indirizzarle all'arte per le neglette vie del mestiere. Né si può dire che in codesto illuminato esercizio didattico prevalessero ragioni di lucro, ché, sempre, là dove una propensione naturale si rivelasse, artigianelli poveri in canna, entrati ragazzi nella sua bottega, potevano raggiungere sotto la sua guida gratuita, la meta finale dei loro studi artistici ed essere abilitati all'insegnamento.
Oltre che nell'ambito della sua singolare bottega - ieri così favorevolmente nota, oggi passata nei noveri dei ricordi e persino difficile a concepirsi - Ferdinando Rossi svolse una lunga ininterrotta attività didattica presso la locale Scuola d'Arte (un tempo R. Scuola professionale per le arti decorative, poi Scuola per le industrie artistiche) dove per ben quarantasette anni impartì, con perizia e ricordevole impegno, lezioni di storia del mobile, tecnica dell'intaglio, intarsio e disegno professionale. Parallelamente, egli tentava di dare organicità allo studio dei problemi dell'arte applicata, che più di tutti interessavano la sua competenza e impegnavano il suo campo di osservazione
Nacquero così, nutriti dall'esperienza di un quotidiano contatto e preparati con quella serietà ch'egli pose sempre alla base del suo operare, uno studio sulle cornici italiane d'ogni stile; uno studio sui "Cori" delle chiese di Bologna e di Modena (tarsie, intagli, ecc..); uno studio vasto e particolareggiato sul mobile di ogni tempo e stile
Fra i lavori più impegnativi della sua attività professionale sono da ricordare il restauro a stucco della Cappelle del Sacro Cuore nella locale chiesa di S. Pietro e degli interni del Palazzo Montpensier (ivi compresa la Cappella barocca rifatta ex novo); il pulpito in legno della chiesa di S. Salvatore di Bologna e, pure in legno, tre statue collocate nella chiesa del Sacro Cuore di Genova.
Inediti gli studi sopra ricordati: dimenticati e pressocché anonimi i lavori da lui eseguiti. Una biografia, come si deve, contenuta in misure modestissime, ma in cui è specchiata una probità di vita e una concentrazione operosa consapevole di quell'onesto rispetto del limite che è (o dovrebbe essere) la prima legge morale dell'arte. Requisiti oggi assai rari che apparvero, al chiudersi della sua giornata terrena, mal compensati dall'indifferenza e dal silenzio che li accompagnava: quel silenzio che si chiude su di lui in una corsia dell'ospedale di Ravenna il 23 luglio 1957
Ferruccio Giacomelli
(Ferdinando sposa Vaccari Maria e ha tre figli, Ilario, Ruggiero e Lea)
UN MAGO NEL PAESE DEI SEGNI (intervista a Pirro Cuniberti) di Flavio Niccoli
Alle elementari gli insegnamenti di una maestra attenta al disegno, alla Règia Scuola d'Arte la guida geniale del padre del pittore Ilario Rossi, Ferdinando: l'avventura pittorica di Pirro Cuniberti inizia con l'incitamento a lasciare segni sul foglio bianco, a disegnare proiezioni ortogonali e esercitarsi sulla teoria delle ombre e della prospettiva, ponendo le basi di una produzione artistica sempre sul filo di un visibile al limite del percepibile, di immagini da decifrare come orizzonti osservati oltre le certezze apparenti....
…...Tutti i bambini sanno disegnare, se non vengono rovinati: quando nascono sono bravissimi, poi gli si chiede di fare i soliti vasi di fiori invece che suggerirgli di guardarsi intorno. Il risultato è che la curiosità e il gusto per l'osservazione diminuiscono, la voglia di raccontare su un foglio le emozioni per le cose e per gli ambienti passa in fretta......
….A disegnare "per conto mio" ho cominciato che ero un ragazzo e anche la passione per il design è arrivata presto: dalle sedie alle case, partendo dalla piazza, mettendo a frutto gli insegnamenti sulla prospettiva. Ho sfruttato la fortuna di avere avuto come insegnante di disegno dal vero l'altro figlio di Ferdinando Rossi, Ruggero: come pittore non era molto noto, ma anche lui, come il padre, era un insegnante straordinario. Quando conosci la tecnica del disegno geometrico e quella del disegno dal vero la formazione è finita, è il momento di decidere cosa fare e di vedere cosa sai fare. Sul foglio bianco, sullo spazio del foglio, ho potuto mettere punti, più tardi anche macchioline, per esprimere i luoghi interni dell'angoscia o della gioia....