ILARIO ROSSI incisore, Re Enzo Editrice, Bologna, 1999
Vittorio Mascalchi
La prima volta che incontrai Ilario Rossi fu in via Della Grada a Bologna nella Scuola-atelier magistralmente tenuta da suo padre Ferdinando, eravamo agli inizi degli anni '50 e mi stavo preparando per l'esame di ammissione all'Accademia di Belle Arti. Lo ricordo come un signore alto, ben vestito, con una parlata dall'inflessione tipicamente francese; quella prima immagine che ebbi di lui mi è rimasta impressa nella memoria. Successivamente, ero ancora studente iscritto all'Accademia, quando, assieme a Frasnedi, Barilli e Leonardi, miei inseparabili compagni di corso, frequentavo assiduamente il Circolo di Cultura di via Rizzoli dove spesso mi capitava di incontrarlo e di fermarmi a parlare con lui.
Molto tempo dopo, quando insegnavo già all'Accademia, ebbi modo di frequentare con assiduità Ilario Rossi, appena chiamato a tenere la cattedra di decorazione durante il periodo più acceso della contestazione studentesca. Erano anni fortemente politicizzati, che hanno finito per coinvolgere l'Accademia di Bologna. Ricordo che i Collegi dei professori, durante le lunghe e periodiche occupazioni dell'Istituto da parte del Comitato di lotta degli studenti dell'A.A.B.B., spesso si svolgevano, in forzata trasferta, presso l'ospitale Convento di Santa Maria delle Grazie in via Siepelunga.
Durante un breve periodo, eufemisticamente definibile di difficile gestione, in cui Ilario Rossi era direttore, ebbi dal Collegio l'incarico di vicedirezione. In quella condizione di totale sbandamento, di fronte ad un modo profondamente diverso di vedere e di concepire l'arte, messa addirittura sotto accusa, andavano cadendo, sotto i duri colpi della contestazione giovanile, tutta una serie di convinzioni sull'arte e sulla cultura, producendo una forma di generale smarrimento assai simile, ritengo, a ciò che l'Informale ebbe a produrre sulla precedente generazione dei maestri.
L'Accademia forniva uno spaccato di forte riscontro generazionale, che si esprimeva negli interventi e nei comportamenti dei singoli professori.
Ilario Rossi apparteneva alla cosiddetta generazione di mezzo, quella che aveva vissuto militarmente la guerra e che artisticamente aveva contribuito a formare, in quegli anni a Bologna fortemente caratterizzati dall'ultimo naturalismo arcangeliano, il clima a suo modo eroico da ultima avanguardia che caratterizzò tutto l'Informale; di quella esperienza Ilario Rossi ne ha certamente portato il segno.
Devo altresì aggiungere che l'assidua frequentazione con gli ultimi maestri, mi riferisco qui a Bologna, soprattutto a Guidi e Morandi, ha finito per influire in modo altrettanto profondo su chi, come Ilario Rossi, ne era stato allievo e aveva poi avuto modo di godere della loro amicizia e della loro assidua presenza.
Il gusto della battuta detta, della storiella spesso sarcastica, raccontata con compiaciuta ironia a caffè o lungo i corridoi dell'Accademia, non era solo una maniera di passare piacevolmente il tempo ma era anche un modo per esprimere giudizi e fare cultura.
Quelle consuetudini, tipicamente bolognesi, inclini più al sodalizio discreto ed appartato che alla mondanità più esposta, hanno caratterizzato anche la lunga stagione informale bolognese. L'impegno formale e di poetica di un nutrito fronte di pittori quasi tutti operanti a Bologna, a parte Ennio Morlotti e pochi altri d'area soprattutto torinese e lombarda, che s'identificava con le teorizzazioni di Francesco Arcangeli, mi riferisco all'ultimo naturalismo al quale Ilario Rossi partecipò attivamente come protagonista, costituisce un'esperienza che oggi, se considerata con il sufficiente distacco che solo il passato consegnato alla storia consente, può assumere un senso di rinnovata attualità.
Il recente e da più parti auspicato recupero dei valori rappresentati dalla tradizione, unitamente al ritrovato interesse per la pittura, che in tempi di sperimentalismo integrale e di radicale internazionalismo, potevano apparire come dei limiti, stanno ora rivelandosi temi di grande attualità e argomento di discussione per il dibattito sull'arte.
Ho da sempre sostenuto che il neo naturalismo o ultimo naturalismo vada letto e inteso come una sorta di controcanto a quel grande movimento internazionale che fu l'Informale, contrassegnato da una vena struggente, appassionata, in ogni caso lirica, profondamente connessa ai tempi naturali, a localizzazioni geografiche precisate e che ha contribuito, in modo assolutamente autonomo, a fornire un approccio con il dato naturale sempre riconducibile al luogo stesso della ricerca, a volte identificabile con esso, comunque profondamente radicato al suo passato.
La stessa grande cavalcata storica da Wiligelmo a Morandi, presentata da Francesco Arcangeli in una sua memorabile mostra bolognese come ponte ideale tra passato e presente, ora, in clima di critica alla modernità, viene ad assumere il valore di un testamento che, nel tempo, sta rivelando tutta la lucidità che solo le indicazioni profetiche contengono. È noto che solo gli antecedenti storici del neo naturalismo, Francesco Arcangeli li faceva risalire agli impressionisti e soprattutto a Monet, piuttosto che ai graffiti degli indiani d'America, così come era nota l'alta considerazione in cui teneva l'opera di Giorgio Morandi da lui considerato come l'ultimo erede della nostra gloriosa tradizione.
L'importanza di quel particolare momento e dei pittori che, come Ilario Rossi ne sono stati protagonisti, sta soprattutto nel fatto di avere ricercato e sperimentato nuovi modi di interpretare il dato naturale nella piena consapevolezza della propria memoria storica. L'opera pittorica di Ilario Rossi testimonia di come tradizione e innovazione siano ancora le due facce di una stessa medaglia e queste sue acqueforti e puntesecche così bene eseguite a puro segno, come a suo tempo gli aveva insegnato Morandi, ne sono un'ulteriore e autorevole prova.Paragraph.
Vittorio Mascalchi
La prima volta che incontrai Ilario Rossi fu in via Della Grada a Bologna nella Scuola-atelier magistralmente tenuta da suo padre Ferdinando, eravamo agli inizi degli anni '50 e mi stavo preparando per l'esame di ammissione all'Accademia di Belle Arti. Lo ricordo come un signore alto, ben vestito, con una parlata dall'inflessione tipicamente francese; quella prima immagine che ebbi di lui mi è rimasta impressa nella memoria. Successivamente, ero ancora studente iscritto all'Accademia, quando, assieme a Frasnedi, Barilli e Leonardi, miei inseparabili compagni di corso, frequentavo assiduamente il Circolo di Cultura di via Rizzoli dove spesso mi capitava di incontrarlo e di fermarmi a parlare con lui.
Molto tempo dopo, quando insegnavo già all'Accademia, ebbi modo di frequentare con assiduità Ilario Rossi, appena chiamato a tenere la cattedra di decorazione durante il periodo più acceso della contestazione studentesca. Erano anni fortemente politicizzati, che hanno finito per coinvolgere l'Accademia di Bologna. Ricordo che i Collegi dei professori, durante le lunghe e periodiche occupazioni dell'Istituto da parte del Comitato di lotta degli studenti dell'A.A.B.B., spesso si svolgevano, in forzata trasferta, presso l'ospitale Convento di Santa Maria delle Grazie in via Siepelunga.
Durante un breve periodo, eufemisticamente definibile di difficile gestione, in cui Ilario Rossi era direttore, ebbi dal Collegio l'incarico di vicedirezione. In quella condizione di totale sbandamento, di fronte ad un modo profondamente diverso di vedere e di concepire l'arte, messa addirittura sotto accusa, andavano cadendo, sotto i duri colpi della contestazione giovanile, tutta una serie di convinzioni sull'arte e sulla cultura, producendo una forma di generale smarrimento assai simile, ritengo, a ciò che l'Informale ebbe a produrre sulla precedente generazione dei maestri.
L'Accademia forniva uno spaccato di forte riscontro generazionale, che si esprimeva negli interventi e nei comportamenti dei singoli professori.
Ilario Rossi apparteneva alla cosiddetta generazione di mezzo, quella che aveva vissuto militarmente la guerra e che artisticamente aveva contribuito a formare, in quegli anni a Bologna fortemente caratterizzati dall'ultimo naturalismo arcangeliano, il clima a suo modo eroico da ultima avanguardia che caratterizzò tutto l'Informale; di quella esperienza Ilario Rossi ne ha certamente portato il segno.
Devo altresì aggiungere che l'assidua frequentazione con gli ultimi maestri, mi riferisco qui a Bologna, soprattutto a Guidi e Morandi, ha finito per influire in modo altrettanto profondo su chi, come Ilario Rossi, ne era stato allievo e aveva poi avuto modo di godere della loro amicizia e della loro assidua presenza.
Il gusto della battuta detta, della storiella spesso sarcastica, raccontata con compiaciuta ironia a caffè o lungo i corridoi dell'Accademia, non era solo una maniera di passare piacevolmente il tempo ma era anche un modo per esprimere giudizi e fare cultura.
Quelle consuetudini, tipicamente bolognesi, inclini più al sodalizio discreto ed appartato che alla mondanità più esposta, hanno caratterizzato anche la lunga stagione informale bolognese. L'impegno formale e di poetica di un nutrito fronte di pittori quasi tutti operanti a Bologna, a parte Ennio Morlotti e pochi altri d'area soprattutto torinese e lombarda, che s'identificava con le teorizzazioni di Francesco Arcangeli, mi riferisco all'ultimo naturalismo al quale Ilario Rossi partecipò attivamente come protagonista, costituisce un'esperienza che oggi, se considerata con il sufficiente distacco che solo il passato consegnato alla storia consente, può assumere un senso di rinnovata attualità.
Il recente e da più parti auspicato recupero dei valori rappresentati dalla tradizione, unitamente al ritrovato interesse per la pittura, che in tempi di sperimentalismo integrale e di radicale internazionalismo, potevano apparire come dei limiti, stanno ora rivelandosi temi di grande attualità e argomento di discussione per il dibattito sull'arte.
Ho da sempre sostenuto che il neo naturalismo o ultimo naturalismo vada letto e inteso come una sorta di controcanto a quel grande movimento internazionale che fu l'Informale, contrassegnato da una vena struggente, appassionata, in ogni caso lirica, profondamente connessa ai tempi naturali, a localizzazioni geografiche precisate e che ha contribuito, in modo assolutamente autonomo, a fornire un approccio con il dato naturale sempre riconducibile al luogo stesso della ricerca, a volte identificabile con esso, comunque profondamente radicato al suo passato.
La stessa grande cavalcata storica da Wiligelmo a Morandi, presentata da Francesco Arcangeli in una sua memorabile mostra bolognese come ponte ideale tra passato e presente, ora, in clima di critica alla modernità, viene ad assumere il valore di un testamento che, nel tempo, sta rivelando tutta la lucidità che solo le indicazioni profetiche contengono. È noto che solo gli antecedenti storici del neo naturalismo, Francesco Arcangeli li faceva risalire agli impressionisti e soprattutto a Monet, piuttosto che ai graffiti degli indiani d'America, così come era nota l'alta considerazione in cui teneva l'opera di Giorgio Morandi da lui considerato come l'ultimo erede della nostra gloriosa tradizione.
L'importanza di quel particolare momento e dei pittori che, come Ilario Rossi ne sono stati protagonisti, sta soprattutto nel fatto di avere ricercato e sperimentato nuovi modi di interpretare il dato naturale nella piena consapevolezza della propria memoria storica. L'opera pittorica di Ilario Rossi testimonia di come tradizione e innovazione siano ancora le due facce di una stessa medaglia e queste sue acqueforti e puntesecche così bene eseguite a puro segno, come a suo tempo gli aveva insegnato Morandi, ne sono un'ulteriore e autorevole prova.Paragraph.