Pitture di ILARIO ROSSI, Edizioni Alfa, Bologna, 1968
Gian Carlo Cavalli
Non dovette essere impresa da poco quella di Ilario Rossi e di qualche altro, che in una città chiusa agli scambi vivi della cultura artistica si trovarono a dover uscire dalle strette di una poetica neorazionalistica, da un lato, e dall'inafferrabile senso della parola scarnificata di Guidi, dall'altro. Dotato di qualità native non comuni, Rossi intese soprattutto il significato morale della lezione morandiana, cui era congenialmente sospinto dalla sua natura meditativa e studiosa, e che è rimasto al fondo della sua formazione. Muovendo da quelle esperienze tonali, anzi che dirigere le sue ricerche nel senso di una continua riduzione oggettiva, lo vediamo via via allargare la sua gamma espressiva in una lenta ma continua osservazione degli aspetti naturali, che si risolve infine nella rappresentazione pacatamente calda, quasi sensuosa della realtà. Il colore e la luce giocheranno così, volta a volta, in accese rapide giustapposizioni per un variare continuo dell'emozione. Non è forse nel rapido accendersi del colore sulle case al piede del colle di S. Luca che batte l'accento poetico, sceso lungo la "curva malinconia" del monte? o nell'illuminarsi improvviso di un muro o di un tetto sotto il variare della stagione e dell'ora? Nella fondamentale esperienza del tono, il colore e la luce sono spinti a possibilità estreme e si caricano di patetiche risonanze, ove talora parrà vibrare qualche traccia dell'affocato mondo di Scipione attraverso il più accordato modulare mafaiano; talora invece, nella sua esperienza di mezzo, il pittore sembrerà insistere con qualche compiacenza su certe venature del sentimento da suggerire quasi un allentarsi della sintesi formale, una diversa qualità narrativa, più scopertamente romantica. Ma pur sempre Rossi offrirà la testimonianza di come si possa nell'identificazione del mondo sensibile dirigere i passi costeggiando l'orma di una tradizione italiana ormai illustre e liberare da essa una coerente personalissima individualità espressiva. La sua pittura ha assunto ormai un timbro inconfondibile e appartato; è venuta approfondendo via via l'analisi della natura in un processo di scarto, di chiarimento interno, di semplificazione ancora in atto, che azzarda come il tasto di un acceleratore; una scrittura tecnicamente più veloce ed abbreviata. La sua ancor pacata e sensuosa rappresentazione si va ora stringendo in una sintesi non prima raggiunta, ove il colore piega su di un tonalismo quasi elementare, di sostanza interna. La natura del paesaggio ch'egli predilige si ordina per dati essenziali e si riassume lungo le curve grevi e malinconiche dei colli emiliani, lungo i profili d'ombra delle case e degli orti, nelle gamme ormai schiarite del colore; e si leva la sua voce lenta, quasi mormorata e pigra, in una sorta di bucolica accorata e severa.
Gian Carlo Cavalli
Non dovette essere impresa da poco quella di Ilario Rossi e di qualche altro, che in una città chiusa agli scambi vivi della cultura artistica si trovarono a dover uscire dalle strette di una poetica neorazionalistica, da un lato, e dall'inafferrabile senso della parola scarnificata di Guidi, dall'altro. Dotato di qualità native non comuni, Rossi intese soprattutto il significato morale della lezione morandiana, cui era congenialmente sospinto dalla sua natura meditativa e studiosa, e che è rimasto al fondo della sua formazione. Muovendo da quelle esperienze tonali, anzi che dirigere le sue ricerche nel senso di una continua riduzione oggettiva, lo vediamo via via allargare la sua gamma espressiva in una lenta ma continua osservazione degli aspetti naturali, che si risolve infine nella rappresentazione pacatamente calda, quasi sensuosa della realtà. Il colore e la luce giocheranno così, volta a volta, in accese rapide giustapposizioni per un variare continuo dell'emozione. Non è forse nel rapido accendersi del colore sulle case al piede del colle di S. Luca che batte l'accento poetico, sceso lungo la "curva malinconia" del monte? o nell'illuminarsi improvviso di un muro o di un tetto sotto il variare della stagione e dell'ora? Nella fondamentale esperienza del tono, il colore e la luce sono spinti a possibilità estreme e si caricano di patetiche risonanze, ove talora parrà vibrare qualche traccia dell'affocato mondo di Scipione attraverso il più accordato modulare mafaiano; talora invece, nella sua esperienza di mezzo, il pittore sembrerà insistere con qualche compiacenza su certe venature del sentimento da suggerire quasi un allentarsi della sintesi formale, una diversa qualità narrativa, più scopertamente romantica. Ma pur sempre Rossi offrirà la testimonianza di come si possa nell'identificazione del mondo sensibile dirigere i passi costeggiando l'orma di una tradizione italiana ormai illustre e liberare da essa una coerente personalissima individualità espressiva. La sua pittura ha assunto ormai un timbro inconfondibile e appartato; è venuta approfondendo via via l'analisi della natura in un processo di scarto, di chiarimento interno, di semplificazione ancora in atto, che azzarda come il tasto di un acceleratore; una scrittura tecnicamente più veloce ed abbreviata. La sua ancor pacata e sensuosa rappresentazione si va ora stringendo in una sintesi non prima raggiunta, ove il colore piega su di un tonalismo quasi elementare, di sostanza interna. La natura del paesaggio ch'egli predilige si ordina per dati essenziali e si riassume lungo le curve grevi e malinconiche dei colli emiliani, lungo i profili d'ombra delle case e degli orti, nelle gamme ormai schiarite del colore; e si leva la sua voce lenta, quasi mormorata e pigra, in una sorta di bucolica accorata e severa.