ILARIO ROSSI incisore, Re Enzo Editrice, Bologna, 1999
Pompilio Mandelli
Il primo incontro con Ilario Rossi fu piuttosto turbolento. Eravamo nel 1932 e una mattina di gennaio o forse di febbraio, Ilario entrò, assieme a Pino Natali, nell'aula di Figura disegnata del Liceo Artistico di Bologna, mentre noi dell'ultimo anno eravamo intenti a seguire la lezione del prof. Giovanni Romagnoli (Ilario era già iscritto all'Accademia e frequentava il corso di Decorazione, diretto dal prof. Achille Casanova, il noto affreschista della Basilica di S.Antonio da Padova).
I due dell'Accademia, con in mano i loro berretti azzurri da goliardo, ci chiesero l'obolo per la realizzazione del carro rappresentante le Belle Arti nella sfilata alla festa delle matricole. Il carro progettato per quell'anno era dedicato alla figura di Marinetti-cuoco, l'ideatore del Futurismo, che in una serata a Bologna, molto movimentata, si era scagliato contro la cucina tradizionale bolognese, proponendo le nuove ricette dell'arte culinaria futurista, fra le quali era in evidenza quella del risotto all'arancia.
Noi della IV liceo decidemmo di non aderire alla colletta, perché convinti che il carro dell'Accademia dell'anno prima, intitolato "Natura morta '900", con una enorme bottiglia, un candeliere, un vaso e una specie di manichino, dove tutto traballava, fosse stata una canzonatura all'arte del prof. Giorgio Morandi.
Sul carro "Morandi" (progettato da Ilario) divampò, tra alcuni di noi liceali e i due dell'Accademia, una discussione abbastanza animata, tanto che il prof. Romagnoli c'invitò ad uscire nel corridoio, dove la diatriba si fece più accesa, ma poi tutto finì presto, con qualche spintone e alcune parole assai poco gentili.
Ricordo che il carnevalesco carro marinettiano (ideato da Ilario) ottenne un caloroso successo. Fu un indovinato fantoccio allegro di cartapesta (caricatura di Marinetti, vestito da cuoco, e plasmato dagli allievi dello scultore Ercole Drei) che mangiava da un enorme piatto lunghe tagliatelle al ragù, mentre gli studenti attorno gozzovigliavano e si buttavano torte in faccia.
Per diversi anni, con Ilario, ci perdemmo di vista. Io frequentai l'Accademia e prestai servizio militare, mentre Ilario insegnava alla scuola d'Arte di Castelmassa sul Po. All'Intersindacale di Bologna nel 1938, mi assegnarono il 1° premio. Alla mostra trovai Ilario (aveva vinto lo stesso premio due anni prima) e da allora, credo ebbe inizio la nostra amicizia.
La primavera del '40 ci colse mentre eravamo a Venezia, io e l'amico, con altri 14 pittori impegnati a dipingere ad affresco, ognuno un proprio pannello, sulle pareti delle prime sale del padiglione centrale della Biennale (eravamo stati scelti dopo un concorso nazionale: Ilario fra i rappresentanti dei sindacati degli artisti, io fra gli iscritti ai GUF studenteschi).
Nell'autunno del 1941, nella saletta del sindacato di via Castiglione 25, venne allestita una collettiva presentata da Francesco Arcangeli in cui io e l'amico esponemmo fra Virgilio Guidi, Carlo Corsi, Corrado Corazza, Cleto Tomba, Cafiero Tuti e Giovanni Ciangottini. Ancora Arcangeli presentò l'anno dopo (1942) Tre pittori e uno scultore (Ciangottini, Mandelli, Minguzzi, I. Rossi) alla Galleria "Ciangottini" di Bologna e Tre pittori (Ciangottini, Mandelli, I. Rossi) alla Galleria "Il Ponte" di Firenze.
Quante volte avremo esposto insieme, Ilario ed io, nella nostra lunga carriera, nelle Mostre Studentesche, Sindacali, Intersindacali, Esposizioni Nazionali, Mostre a premio (così in voga negli anni '50) e nelle tante e tante gallerie private? Forse più di un centinaio di volte, e sempre con armonia, sincera amicizia e stima reciproca.
Nel dicembre 1945, a guerra finita, venne il momento straordinario di "Cronache", la galleria di Piazza della Mercanzia, voluta e gestita da Aldo Borgonzoni, Carlo Corsi, Luciano Minguzzi, Ilario Rossi e da me, che svolse, per alcuni anni, un programma rivolto alla contemporaneità, allestendo mostre collettive di carattere nazionale e le nostre cinque personali.
La mostra dei pittori Barnabè, Borgonzoni, Ciangottini, Mandelli e Ilario Rossi, che esposero con 10 opere ognuno, dal 29 novembre 1946 nella Sala degli Svizzeri di Palazzo d'Accursio, organizzata, tramite Cesare Gnudi, dal Gruppo Intellettuali Labriola, scatenò, dopo l'articolo di Nino Bertocchi dal titolo Pittori e no, uscito nel quotidiano bolognese "Rinascita" del 10-11 dicembre, un vero pandemonio, con polemiche a non finire. Vennero pubblicate "lettere aperte" degli artisti (su "Rinascita"), risposte e controrisposte nei vari giornali: "Il Progresso d'Italia", "Cronache", "L'Avvenire", con articoli di Gian Carlo Cavalli, Corrado Corazza, Lamberto Priori.
La "Mostra nazionale d'arte contemporanea", aperta nel salone del Palazzo del Podestà di Bologna, dal 17 ottobre al 5 novembre 1948, è entrata nella storia. Alla rassegna, organizzata dall'Alleanza della cultura bolognese, parteciparono 41 artisti, fra pittori e scultori, rappresentanti le forze giovanili italiane (i pittori bolognesi erano: Baldinelli, Barnabè, Borgonzoni, Cassanello, Ciangottini, Mandelli, Minguzzi, Pancaldi, Romiti e Ilario Rossi). Dopo la stroncatura di Palmiro Togliatti, su Rinascita, furono promosse e svolte nella sede della mostra tre giornate di convegni, conferenze, dibattiti con la partecipazione del pubblico, degli artisti espositori e di molti critici arrivati da tutt'Italia. In quei giorni di novembre fu dichiarata la fine del "Fronte nuovo delle arti" e si aprirono le strade al "Realismo sociale" e al venturiano "Gruppo Astratto-Concreto" del Gruppo degli otto; ma fu anche il lancio delle idee per una terza forza collegata al naturalismo esistenziale arcangeliano (F. Arcangeli: Astrattismo e Realismo, "La Fiera Letteraria", 12.12.1948).
Ma ecco giungere il 1954, l'anno della nascita dell'Ultimo naturalismo, al quale Francesco Arcangeli darà l'avvio in settembre, scrivendo il famoso saggio: Gli ultimi naturalisti ("Paragone", 59). Lo scritto, dove l'aggettivo 'ultimo' andava inteso come senso dell'estremo limite, della perdutezza estrema, lascerà tracce profonde e sbocchi inconfondibili, valorizzando certe caratteristiche d'una pittura dell'area lombarda-emiliana-piemontese. Dello stesso critico uscirà nel gennaio 1957, sempre su "Paragone" Una situazione non improbabile, dove viene chiarito il concetto di Arte e Vita tra Storia e Critica, mettendo in rapporto l'Ultimo naturalismo con l'Informale americano e francese.
Ilario Rossi era partecipe alla situazione arcangeliana tramite una ricerca personale e attiva, contribuendo con la così detta "generazione di mezzo" al rinnovamento della pittura italiana. E a proposito riporto alcune frasi di Arcangeli scritte per Ilario nel 1958: "(...) Le strutture moderne, di traslata eredità cézanniana, le alternative e sperimentazioni tecniche della pittura di materia, o di quella che gli americani chiamano 'pittura d'azione', fanno ormai corpo con le doti provate di Rossi: basterebbe vedere con quale padronanza, con quale golosa ma trattenuta dolcezza egli stenda con la spatola gli strati del suo colore, nutrendone gli accordi lungo una gamma talvolta piacevole, talvolta semplice e austera: spesso rara. In questo impasto non facile è presente la vita (...)"..
Pompilio Mandelli
Il primo incontro con Ilario Rossi fu piuttosto turbolento. Eravamo nel 1932 e una mattina di gennaio o forse di febbraio, Ilario entrò, assieme a Pino Natali, nell'aula di Figura disegnata del Liceo Artistico di Bologna, mentre noi dell'ultimo anno eravamo intenti a seguire la lezione del prof. Giovanni Romagnoli (Ilario era già iscritto all'Accademia e frequentava il corso di Decorazione, diretto dal prof. Achille Casanova, il noto affreschista della Basilica di S.Antonio da Padova).
I due dell'Accademia, con in mano i loro berretti azzurri da goliardo, ci chiesero l'obolo per la realizzazione del carro rappresentante le Belle Arti nella sfilata alla festa delle matricole. Il carro progettato per quell'anno era dedicato alla figura di Marinetti-cuoco, l'ideatore del Futurismo, che in una serata a Bologna, molto movimentata, si era scagliato contro la cucina tradizionale bolognese, proponendo le nuove ricette dell'arte culinaria futurista, fra le quali era in evidenza quella del risotto all'arancia.
Noi della IV liceo decidemmo di non aderire alla colletta, perché convinti che il carro dell'Accademia dell'anno prima, intitolato "Natura morta '900", con una enorme bottiglia, un candeliere, un vaso e una specie di manichino, dove tutto traballava, fosse stata una canzonatura all'arte del prof. Giorgio Morandi.
Sul carro "Morandi" (progettato da Ilario) divampò, tra alcuni di noi liceali e i due dell'Accademia, una discussione abbastanza animata, tanto che il prof. Romagnoli c'invitò ad uscire nel corridoio, dove la diatriba si fece più accesa, ma poi tutto finì presto, con qualche spintone e alcune parole assai poco gentili.
Ricordo che il carnevalesco carro marinettiano (ideato da Ilario) ottenne un caloroso successo. Fu un indovinato fantoccio allegro di cartapesta (caricatura di Marinetti, vestito da cuoco, e plasmato dagli allievi dello scultore Ercole Drei) che mangiava da un enorme piatto lunghe tagliatelle al ragù, mentre gli studenti attorno gozzovigliavano e si buttavano torte in faccia.
Per diversi anni, con Ilario, ci perdemmo di vista. Io frequentai l'Accademia e prestai servizio militare, mentre Ilario insegnava alla scuola d'Arte di Castelmassa sul Po. All'Intersindacale di Bologna nel 1938, mi assegnarono il 1° premio. Alla mostra trovai Ilario (aveva vinto lo stesso premio due anni prima) e da allora, credo ebbe inizio la nostra amicizia.
La primavera del '40 ci colse mentre eravamo a Venezia, io e l'amico, con altri 14 pittori impegnati a dipingere ad affresco, ognuno un proprio pannello, sulle pareti delle prime sale del padiglione centrale della Biennale (eravamo stati scelti dopo un concorso nazionale: Ilario fra i rappresentanti dei sindacati degli artisti, io fra gli iscritti ai GUF studenteschi).
Nell'autunno del 1941, nella saletta del sindacato di via Castiglione 25, venne allestita una collettiva presentata da Francesco Arcangeli in cui io e l'amico esponemmo fra Virgilio Guidi, Carlo Corsi, Corrado Corazza, Cleto Tomba, Cafiero Tuti e Giovanni Ciangottini. Ancora Arcangeli presentò l'anno dopo (1942) Tre pittori e uno scultore (Ciangottini, Mandelli, Minguzzi, I. Rossi) alla Galleria "Ciangottini" di Bologna e Tre pittori (Ciangottini, Mandelli, I. Rossi) alla Galleria "Il Ponte" di Firenze.
Quante volte avremo esposto insieme, Ilario ed io, nella nostra lunga carriera, nelle Mostre Studentesche, Sindacali, Intersindacali, Esposizioni Nazionali, Mostre a premio (così in voga negli anni '50) e nelle tante e tante gallerie private? Forse più di un centinaio di volte, e sempre con armonia, sincera amicizia e stima reciproca.
Nel dicembre 1945, a guerra finita, venne il momento straordinario di "Cronache", la galleria di Piazza della Mercanzia, voluta e gestita da Aldo Borgonzoni, Carlo Corsi, Luciano Minguzzi, Ilario Rossi e da me, che svolse, per alcuni anni, un programma rivolto alla contemporaneità, allestendo mostre collettive di carattere nazionale e le nostre cinque personali.
La mostra dei pittori Barnabè, Borgonzoni, Ciangottini, Mandelli e Ilario Rossi, che esposero con 10 opere ognuno, dal 29 novembre 1946 nella Sala degli Svizzeri di Palazzo d'Accursio, organizzata, tramite Cesare Gnudi, dal Gruppo Intellettuali Labriola, scatenò, dopo l'articolo di Nino Bertocchi dal titolo Pittori e no, uscito nel quotidiano bolognese "Rinascita" del 10-11 dicembre, un vero pandemonio, con polemiche a non finire. Vennero pubblicate "lettere aperte" degli artisti (su "Rinascita"), risposte e controrisposte nei vari giornali: "Il Progresso d'Italia", "Cronache", "L'Avvenire", con articoli di Gian Carlo Cavalli, Corrado Corazza, Lamberto Priori.
La "Mostra nazionale d'arte contemporanea", aperta nel salone del Palazzo del Podestà di Bologna, dal 17 ottobre al 5 novembre 1948, è entrata nella storia. Alla rassegna, organizzata dall'Alleanza della cultura bolognese, parteciparono 41 artisti, fra pittori e scultori, rappresentanti le forze giovanili italiane (i pittori bolognesi erano: Baldinelli, Barnabè, Borgonzoni, Cassanello, Ciangottini, Mandelli, Minguzzi, Pancaldi, Romiti e Ilario Rossi). Dopo la stroncatura di Palmiro Togliatti, su Rinascita, furono promosse e svolte nella sede della mostra tre giornate di convegni, conferenze, dibattiti con la partecipazione del pubblico, degli artisti espositori e di molti critici arrivati da tutt'Italia. In quei giorni di novembre fu dichiarata la fine del "Fronte nuovo delle arti" e si aprirono le strade al "Realismo sociale" e al venturiano "Gruppo Astratto-Concreto" del Gruppo degli otto; ma fu anche il lancio delle idee per una terza forza collegata al naturalismo esistenziale arcangeliano (F. Arcangeli: Astrattismo e Realismo, "La Fiera Letteraria", 12.12.1948).
Ma ecco giungere il 1954, l'anno della nascita dell'Ultimo naturalismo, al quale Francesco Arcangeli darà l'avvio in settembre, scrivendo il famoso saggio: Gli ultimi naturalisti ("Paragone", 59). Lo scritto, dove l'aggettivo 'ultimo' andava inteso come senso dell'estremo limite, della perdutezza estrema, lascerà tracce profonde e sbocchi inconfondibili, valorizzando certe caratteristiche d'una pittura dell'area lombarda-emiliana-piemontese. Dello stesso critico uscirà nel gennaio 1957, sempre su "Paragone" Una situazione non improbabile, dove viene chiarito il concetto di Arte e Vita tra Storia e Critica, mettendo in rapporto l'Ultimo naturalismo con l'Informale americano e francese.
Ilario Rossi era partecipe alla situazione arcangeliana tramite una ricerca personale e attiva, contribuendo con la così detta "generazione di mezzo" al rinnovamento della pittura italiana. E a proposito riporto alcune frasi di Arcangeli scritte per Ilario nel 1958: "(...) Le strutture moderne, di traslata eredità cézanniana, le alternative e sperimentazioni tecniche della pittura di materia, o di quella che gli americani chiamano 'pittura d'azione', fanno ormai corpo con le doti provate di Rossi: basterebbe vedere con quale padronanza, con quale golosa ma trattenuta dolcezza egli stenda con la spatola gli strati del suo colore, nutrendone gli accordi lungo una gamma talvolta piacevole, talvolta semplice e austera: spesso rara. In questo impasto non facile è presente la vita (...)"..